Venezia è stata leader dell’industria della seta fino al Settecento, regolamentandola con un rigido sistema di norme per garantirne l’eccellenza. Anche gli artigiani che lavoravano nel settore, organizzati in corporazioni (o “Arti”), avevano un loro codice e tradizioni affascinanti. Scopriamo insieme la storia e i segreti dell’Arte della Seta a Venezia.
I primi produttori di tessuti di seta a Venezia
In un precedente articolo, abbiamo raccontato una leggenda sull’arrivo della seta a Venezia, i cui protagonisti erano l’imperatore Enrico IV e una dama veneziana di cui si era innamorato. Per conquistarla, le aveva fatto dono di una preziosa veste in seta e oro, realizzata dal suo sarto greco, esperto nell’arte della tessitura.
Come spesso accade con le leggende, anche questa contiene un fondo di verità. Il riferimento al “sarto greco” richiama infatti la figura degli artigiani bizantini, depositari di una raffinata tradizione serica. Venezia importò davvero la sericoltura dall’Impero bizantino, probabilmente dopo il saccheggio di Costantinopoli del 1204, quando i Veneziani non solo portarono a casa i celebri quattro cavalli oggi esposti sulla facciata della Basilica di San Marco, ma entrarono in contatto diretto con i saperi e le maestranze dell’Oriente greco.
L’Arte dei Samiteri
Qualche anno più tardi, nel 1265, tra i documenti della Repubblica di Venezia compare lo statuto dell’Arte dei Samiteri. Questi, erano i tessitori di sciamiti, le stoffe seriche di origine persiana più preziose del Medioevo, molto pesanti e spesso impreziosite da fili d’oro.
Tuttavia, la corporazione dei Samiteri non si dedicava solo alla produzione di questi tessuti, ma anche di broccati e damaschi e, si ipotizza, di velluti. È del 1316 un documento d’archivio che testimonia una commessa per “tres samitos pillosos”, ovvero sciamiti vellutati.
La chiesa dell’Arte dei Samiteri era quella dei Gesuiti, nel sestiere di Cannaregio, e il loro patrono era San Cristoforo, affiancato dalla Vergine Annunciata. Le chiese non erano scelte a caso: ogni corporazione vi eleggeva la propria sede spirituale e cerimoniale, un luogo dove riunirsi in occasione di festività, messe votive, funerali degli iscritti e assemblee solenni. Il santo patrono, scelto in base alla simbologia del mestiere o alla devozione locale, rappresentava un riferimento morale e protettivo per l’intera comunità di artigiani.
In seguito, però, i Samiteri dovettero condividere la chiesa con un’altra corporazione emergente: quella dei Veluderi.
Velluto soprarizzo Leoni, con motivo decorativo tipico degli “sciamiti”
L’Arte dei Veluderi e i tessitori di Lucca
È proprio nel Trecento che il velluto diventa un monopolio veneziano e, nel 1347, i tessitori di velluto ottengono una loro corporazione, l’Arte dei Veluderi, riflesso della crescente importanza e diversificazione dell’arte serica a Venezia in quell’epoca.
Si ritiene che lo sviluppo della tessitura del velluto a Venezia abbia ricevuto un grande impulso dall’arrivo in città di numerosi filatori, tessitori e tintori da Lucca, autentici maestri dell’arte serica, in fuga dalla loro città per ragioni politiche.
Ai profughi lucchesi venne concesso il privilegio della cittadinanza e una zona per sistemarsi, compresa tra la chiesa dei Santi Apostoli, Calle della Bissa e le chiese di San Giovanni Grisostomo e San Canciano, a qualche centinaio di metri dalla chiesa dei veluderi e dei samiteri. Dal 1360, si unirono in una loro corporazione, la Corte della Seta che, come santo patrono, elesse il Volto Santo, un crocefisso miracoloso venerato nella città d’origine.
La concorrenza estera e quella interna, però, rischiavano di porre fine al successo economico dei tessuti veneziani, tanto che, nel 1366, le tre Arti decisero di riunirsi.
L’Arte dei filadori de seda
L’Arte dei Filadori de Seda (filatori di seta) venne ufficialmente riconosciuta nel 1488, ma la filatura della seta era già praticata e regolamentata a Venezia almeno dal XIV secolo. Inizialmente attivi nella zona di Campo dei Gesuiti, i filadori trasferirono poi la loro sede nella prestigiosa Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia, simbolo del radicamento sociale e religioso delle arti veneziane.
I patroni spirituali dell’Arte furano inizialmente la Vergine Annunciata e San Cristoforo, figure già venerate dai samiteri, a cui i filadori erano strettamente legati per la complementarità dei mestieri.
Per comprendere l’importanza economica e sociale della seta a Venezia basta osservare alcuni numeri:
Numero di tessitori nel 1493
Numero di tessitori nel 1554
Ma il settore non si limitava ai soli tessitori: includeva una vasta rete di filatori, tintori, disegnatori, commercianti e lavoratori a domicilio, spesso donne che contribuivano in modo decisivo alla produzione. La lavorazione della seta era una vera industria diffusa, che si intrecciava con la vita quotidiana di centinaia di famiglie.
Proprio per questo, le norme che regolavano l’Arte erano numerose e rigorose: stabilivano non solo gli standard qualitativi, ma anche le modalità di apprendimento, l’uso dei materiali, le misure contro la concorrenza sleale.
Ed è proprio grazie a questa disciplina collettiva che i tessuti veneziani acquisirono una fama straordinaria nei mercati europei e orientali, divenendo sinonimo di lusso, raffinatezza e maestria.